L’Ottocento fu tra i secoli durante il quale maggiormente furono recuperati e rielaborati gli stili del passato.
Uno dei periodi più apprezzati fu certamente quello dell’antichità classica, in realtà già ripreso nella seconda metà del Settecento con il Neoclassicismo. Come denuncia già il nome, l’arte classica greco romana fu infatti presa a modello ideale, naturalmente rivista secondo la rappresentazione che si aveva dell’antichità in quegli anni. È infatti oramai assodato, grazie a studi del XX secolo, come le sculture greche e romane non fossero di candido marmo o di bronzo nudo, ma anzi presentassero una policromia sgargiante. I ritrovamenti archeologici del XVIII secolo avevano però riconsegnato alla luce fregi di templi e statue che avevano perso la loro colorazione originaria, e dando dunque quell’immagine di rigore ed eleganza che molto spesso viene ancora associata al mondo antico ellenico e panellenico.
Con tale premessa è obbligo almeno citare Antonio Canova (1757-1822). Artista che con la sua arte volle richiamare quest’idea di classicità, ma che al contempo influenzò i contemporanei con la propria personalissima lettura. (qui un approfondimento sul nostro portale anticonline.net)
L’influenza dell’arte antica proseguì per tutto il corso del XIX secolo. Spesso perdendo la purezza che aveva contraddistinto le prime manifestazioni, riproponendo sempre elementi del passato, ma oramai decontestualizzati e impiegati come elementi decorativi.
È il caso della nostra protagonista di oggi, una piccola scultura in marmo risalente alla metà dell’Ottocento, ed espressione di un tardo gusto neoclassico.
Chiaro è il riferimento alla statuaria romana, alla rappresentazione delle auguste e delle matrone, donne che ricoprivano un ruolo importante nella società e nella politica romana. La postura e l’atteggiamento deriva da queste sculture; alcuni particolari però, come la resa plastica del panneggio, lasciano intendere che la nostra si tratti di un piccolo oggetto, una suppellettile decorativa, seppur destinata a una casa certamente lussuosa.
La figura femminile è infatti abbigliata con una lunga tonaca che arriva fino ai piedi, ma che le lascia il scoperto un seno. Certamente la raffigurazione di una donna di alto lignaggio con i seni nudi era alquanto improbabile nell’antica Roma. Rappresentazione non consona per una donna distinta, questa tipologia è invece accettata e anzi ricercata nel XIX secolo. Basti pensare all’esempio più celebre, la Paolina Borghese come Venere vincitrice. Splendida opera marmorea del già citato Canova nella quale la sorella di Napoleone è appunto raffigurata a petto nudo, paragonata alla dea della bellezza.
La statuaria di piccole dimensioni era certamente diffusa nell’antica Roma, ma legata a una dimensione religiosa. Sculture dalle dimensioni contenute erano infatti solite nelle case nobili, nei cosiddetti larari o edicolette votive dove venivano venerati i lari e i penati. Figure dalle dimensioni contenute, anch’esse a loro volta derivate dalle grandi statue celebrative degli imperatori o delle divinità dei templi.
Nell’Ottocento questa tradizione diventa invece motivo non più celebrazione o venerazione dell’effigiato; l’elemento decorativo, seppur di pregio, vuole invece elogiare i modelli e riferimenti culturali del proprietario che lo espone nel proprio salotto, quasi come un principe collezionista rinascimentale.