Racconti ad alta quota
“Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sin dall’infanzia e questo monte, che a bell’agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi”.
Comincia così il primo esempio occidentale di racconto di un’ascensione in montagna: la lettera di Petrarca a Dionigi di San Sepolcro, nel suo elegante latino trecentesco, testimonia un embrionale mutamento di sguardo sulle cime, fino ad allora viste unicamente come luoghi inaccessibili e minacciosi, incombenti sui valichi alpini che permettevano il collegamento via terra tra nord e sud Europa.
Devono però passare ancora parecchi secoli perché le montagne vengano percepite come meta possibile e desiderata, come territorio da esplorare; la nuova passione per l’alpinismo, fiorita con l’Illuminismo e nutrita dal gusto per l’infinito e il sublime delle correnti preromantiche, trova un suo momento emblematico nella conquista del Monte Bianco l’8 agosto del 1786 da parte di due giovani francesi, Balmat e Paccard. Si moltiplicano a partire dalla fine del XVIII secolo le ascensioni alle più famose vette Alpine e parallelamente nasce tutto un nuovo filone di letteratura a partire dai diari dei grandi scalatori.
Conquistatori dell’impossibile o dell’inutile?
Fin da subito si configurano due tipologie di racconto: quello più documentaristico, di interesse scientifico, in linea con tutta la produzione legata alle grandi esplorazioni geografiche dei continenti extraeuropei, e quello più improntato ad una visione romantica della conquista dell’impossibile, dell’impresa eroica, anche della sconfitta spesso con esiti tragici.
Da allora non si contano i libri scritti da alpinisti e esploratori/scienziati che dalle Alpi sono passati a raccontare le imprese sulle cime Himalayane e Andine. I nomi di numerosi scalatori di ogni paese sono entrati nel mito e in parallelo si sono iscritti nella memoria collettiva i nomi di montagne-simbolo, teatri di scalate impossibili, di sfide al limite delle possibilità umane: Everest, K2, parete nord dell’Eiger…..
Scalatori come “Conquistatori dell’inutile”, secondo la felice definizione data da Lionel Terray; ma si può definire “inutile” l’eterna aspirazione dell’uomo ad un “oltre” che chiama e si sposta sempre più in là?
Alle volte, di fronte al rischio estremo di alcune imprese alpinistiche, ci si chiede perché qualcuno è disposto a mettere a repentaglio la propria vita “solo” per raggiungere una vetta. Mi colpisce la risposta di Mallory, il primo a tentare di raggiungere il tetto del mondo, alla domanda del perché volesse salire in cima all’Everest: in fondo è la stessa del nostro Petrarca: “Perché è lì…”
Tutte le sfumature del benessere
Una piccola collezione di libri di montagna, ricca di titoli introvabili, verrà presentata nella libreria di Viale Espinasse nell’ambito dell’evento Lo Zen e l’arte di scalare le montagne (e stare bene) dal 16 al 20 settembre. Per inaugurare il nuovo anno sociale, dopo mesi tanto difficili, abbiamo deciso di puntare sul BENESSERE inteso in senso lato: benessere del corpo, e su questo i nostri clienti troveranno tanti manuali sul cibo, sulla cura di sé, sulle medicine alternative, sulla cura dell’ambiente in cui viviamo, sul fitness, e molto altro; benessere dello spirito, e allora ecco un focus sulle filosofie orientali, che ci apre ad un altro modo di leggere la vita e la realtà che tanto ci può aiutare a stare in modo diverso anche in tempi così stressanti e complicati. Ed ecco allora l’importanza di alzare lo sguardo e farci aiutare dai Conquistatori dell’Inutile a capire che sognare ed osare si può, sempre.