La parola di questo lunedì è un po’ particolare per il nostro dizionario: natura morta. Scopriremo insieme la storia della sua affermazione e diffusione, il suo impiego nell’arte e in ebanisteria e anche alcune interessanti curiosità.
Cos’è la Natura Morta?
Prima di tutto, però, partiamo dalla definizione. La natura morta è la rappresentazione di oggetti inanimati, che tradizionalmente sono principalmente fiori, frutta, foglie; ma spesso vengono raffigurati anche animali morti, teschi, strumenti musicali o di altro tipo. Viene realizzata con tutte le tecniche pittoriche e su tutte le superfici: affreschi, magari a mo’ di trompe l’oeil, piuttosto che olio su tela e tavola. Anche gli scultori si sono cimentati in questo genere, principalmente in alto e bassorilievo, ma non mancano gli esempi a tuttotondo. Infine, le nature morte sono frequentissime in ebanisteria negli elementi decorativi degli arredi, sia nelle tarsie che negli intagli.
Una curiosità sulle Nature Morte
È interessante notare che la locuzione natura morta non solo si afferma in Italia molto dopo che la tradizione di rappresentare oggetti inanimati si è ormai consolidata, ma anche che nei paesi nordeuropei, sia germanofoni sia anglosassoni, il corrispondente è still life o still leben. Entrambe le espressioni giocano sulla stessa ambiguità per rimarcare la difficile sfida dell’artista da prospettive opposte. La parola italiana “natura” racchiude infatti l’idea di vita, e quasi sempre i fiori, le foglie e i frutti vengono ritratti nel momento in cui sono ancora “vivi”, però recisi, quindi prossimi alla morte. All’artista l’arduo compito di renderli eterni attraverso la sua opera. L’espressione inglese, invece, esprime esattamente lo stesso processo, ma ponendo l’accento più sulla vita che viene immobilizzata. Ma vediamo ora le origini e la secolare storia di questa sorta di competizione in bellezza e armonia tra arte e natura, di cui l’artista si fa campo da gioco, più che giocatore.
Qual è l’origine delle Nature Morte?
Sono giunte fino a noi tracce di raffigurazioni di oggetti e cose minute o naturali risalenti all’antichità egizia, orientale, ellenistica e romana. In particolare, conosciamo la tradizione romana della rhyparographia – dipinti di cose di poco valore – e degli xenia – raffigurazione dei doni per gli ospiti – ma non corrispondono esattamente alla concezione moderna di natura morta. In effetti, dopo il disinteresse dell’epoca medievale per le rappresentazioni naturalistiche, è a partire dal XV secolo che affiora nuovamente un interesse per gli oggetti del mondo naturale nel gusto fiammingo e nell’epoca d’oro della tarsia italiana. Ma solo alla fine del secolo successivo varie tendenze portano alla fortuna della natura morta: la ripresa dei soggetti classici, la curiosità “proto-scientifica” per l’indagine sulla natura, la ricerca di semplicità in alternativa alle composizioni enfatiche precedenti. Così, a cavallo tra i secoli XVI e XVII, dall’Olanda all’Italia si diffondono pitture di soggetti inanimati della vita quotidiana. Nonostante il disprezzo della critica coeva, le richieste della committenza borghese, che apprezza il formato ridotto e i temi domestici, laici, sono preponderanti.
La Natura Morta in Italia
In Italia è possibile datare con precisione l’affermazione definitiva della natura morta come genere di assoluto valore artistico. Il momento chiave è intorno al 1596, quando il Cardinale Borromeo si fa inviare da Roma a Milano la Fiscella, oggi conosciuta come Canestra di Frutta, stupenda opera di Caravaggio, ancora oggi conservata alla Pinacoteca Ambrosiana. Da allora, per tutto il ‘600, nonostante le persistenti incomprensioni e denigrazioni di una parte del mondo pittorico, le nature morte presero il sopravvento. Questo genere, come accennato, rispondeva anche alla necessità della neonata mentalità scientifica di avere a disposizione una riproduzione il quanto più possibile esatta delle fattezze vegetali e animali. Accanto a questo, però, questi dipinti per due secoli utilizzano anche riferimenti allegorici, legando ciascun elemento a un preciso significato. Per esempio, i fiori, con la loro caducità, evocavano il tema della vanitas, la precarietà di tutto. In generale, il tema centrale è l’esaltazione della vita, sottolineando allo stesso tempo anche la sua caducità. Celebre in questo senso è ancora una volta la Canestra di Frutta di Caravaggio in cui sono riconoscibili una serie di dettagli estremamente realistici: i buchetti nelle foglie, un leggero ingiallimento di una, la piegatura dell’inizio dell’essicazione, un piccolo particolare di intacco sulla mela rossiccia. Fino ad allora, i dipinti rappresentavano la realtà idealizzandola, il genio di Caravaggio fu proprio quello di introdurre, attraverso l’estremo realismo, il tema della vita che, essendo invecchiamento, decomposizione, contiene in sé la morte.
Un esempio di Natura Morta
Le nature morte vissero un periodo di relativo declino nel XVIII secolo, ma grandi maestri come Cezanne e Van Gogh ridiedero vigore e centralità alle nature morte nel XIX secolo. Questo tema non cessa di essere percorso da molti artisti fino ad oggi, come dimostra un quadro recentemente arrivato nei nostri magazzini. Si tratta di un olio su tela dipinto da un discendente dei nobili Gonzaga, pittore novecentesco. Autodidatta – o meglio, come si sarebbe definito lui, discepolo della Natura – ha il suo tratto caratteristico nella talentuosa e sapiente gestione dei cromatismi che anche qui si combinano per creare un insieme di bellezza armonica e movimentata. A noi sembra che questo Cesto dei Fichi possa dare un senso di forte calore e accoglienza a una casa. Tra l’altro, visto il soggetto, è molto simpatico che ci sia capitato proprio all’inizio dell’autunno, non trovate?