La storia del fumetto giapponese inizia durante il tramonto del XIX secolo e nei primi bagliori del XX secolo, durante quella che viene chiamata era Meiji (1868-1912). La parola è composta da due caratteri kanji, dove il primo, man, significa divertimento, divagazione, svago e il secondo, ga, significa immagine, disegno: per questo una traduzione etimologica della parola potrebbe essere immagini in movimento.
Solitamente, si fa risalire la coniazione di questo termine a Katsushika Hokusai, rappresentante della scuola degli Ukiyo-e (termine che letteralmente significa immagini del mondo fluttuante), famoso per La grande onda presso la costa di Kanagawa.
Hokusai è l’autore di 15 rotoli chiamati Hokusai manga, completati nel 1834. Questi disegni non presentano una struttura narrativa, ma si presentano piuttosto come una sequenza di caricature grottesche che vanno a comporre una piccola antologia di immagini.
L’era Meiji, in cui il Giappone entra nella sua valle si sviluppo produttivo dell’industria, saluta lo sviluppo del manga proprio con delle prime vignette che hanno a tema le trasformazioni economiche e sociali del paese. In questo periodo nasce un nuovo tipo di giornalismo, in cui editori stranieri si fanno promotori di vignette dal carattere umoristico, o comunque satirico, che vengono diffuse grazie all’appoggio degli esponenti dell’editoria locale del Giappone. Questa particolare forma di ibridazione diede vita a riviste come The Japan Punch, fondata nel 1862 a Yokohama da Charles Wirgman. Il 1905 è l’anno che vede la pubblicazione del primo numero di Tokyo punch, un giornale satirico guidato da Rakuten Kitazawa, che aveva contribuito al diffondersi del termine manga per indicare il fumetto giapponese in generale grazie ad un inserto ospitato nelle pagine di Jiji Shinpo chiamato, appunto, Jiji manga. L’apporto più importante che diede Kitazawa alla struttura del manga lo possiamo riscontrare in uno dei suoi primi lavori, ossia Il viaggio a Tokyo di tagosaku e mokubei, dato alle stampe nel 1902.
Innanzitutto, i personaggi che si muovono in questo lavoro sono fissi e vengono identificati secondo il loro nome proprio: si può dunque parlare di una narrazione con un impianto ben strutturato nella sua sequenza di sviluppo temporale. Il lascito più importante rimane però l’impaginazione grafica della tavola: Kitazawa sceglie di ripartire la sua narrazione in sei vignette bipartite in due colonne verticali. Questa griglia di sei vignette è la stessa impostazione standard che viene utilizzata ancora oggi nei manga, anche se spesso subisce deformazione e stravolgimenti.
Questo tipo di narrazioni si diffondono velocemente: Ippei Okamoto diventa il maestro di una generazione di autori dopo aver firmato un reportage giornalistico mescolando testo scritto e disegno in seguito a un suo viaggio in America e Europa. Questo reportage visivo viene pubblicato nel 1924 con il titolo di Shijo Sekai Manga Man’yu, ossia Viaggio a fumetti per il mondo di carta, e Sekai Isshu no Etegami, ossia Lettere illustrate di un giro intorno al mondo.
In questi anni nasce la Tokyo Mangakai, ossia la prima associazione di disegnatori di manga, oggi nota come Shin Nihon Mangaka Kyokai: mangaka è il termine in uso ancora oggi per identificare i disegnatori professionisti di questa industria. Shigeo Miyao, nel 1922, ebbe una grande intuizione quando pubblicò le avventure di Manga Taro sulle pagine di Maiyu Shunbun: era il primo prodotto di intrattenimento esplicitamente indirizzato non a un pubblico di adulti o lettori di giornali, ma di ragazzi.
Il manga inizia a rivolgersi a un pubblico nuovo.
Negli stessi anni Yutaka Aso pubblica Nonki na Tosan, letteralmente Il padre ottimista, sulle pagine di Hochi Shinbun. La storia ruotava attorno alle avventure quotidiane di un padre di famiglia, senza nessun tipo di exploit drammatico o tragico, ma permettendo piuttosto una facile immedesimazione da parte del pubblico con le vicende rappresentate su carta.
Questa breve panoramica storica ci permette di giustificare alcune caratteristiche che presentano i manga di oggi. Si è già parlato di come la strutturazione delle tavole sia diversa da quelle che hanno i fumetti americani, italiani o francesi e di come questa impostazione abbia radici nei primi anni di vita editoriale di questo prodotto. Se guardiamo questa tavola che rappresenta una delle scene più iconiche di Dragon Ball, vediamo come l’impostazione della tavola abbia mantenuto quella struttura di coppia di vignette affiancate che si stendono in tre strisce verticali, così come lo aveva impostato Kitazawa.
Nel corso degli anni questa impostazione è stata più volte modificata e ogni autore adatta le tavole per ottenere una narrazione molto più veloce di quella che presentano i fumetti nel resto del mondo, prediligendo tendenzialmente la rappresentazione delle figure umane a scapito degli scenari.
Si guardi questa tavola tratta dal primo volume di Fullmetal Alchemist, pubblicato da Hiromu Arakawa tra il 2002 e il 2020, in cui il protagonista, Edward Elric, riesce a trasmutare grazie all’alchimia la materia che lo circonda per ottenere oggetti di vario tipo. In questa scena l’attenzione è dedicata all’azione del protagonista, che viene enfatizzata tramite un uso massiccio di linee cinetiche che vengono sostanzialmente a sostituire lo sfondo.
Se guardiamo questa tavola tratta da Attack on Titan, pubblicato da Hajime Isajama nel 2009 e terminato da poco, notiamo subito come lo stile di disegno sia completamente diverso da quello di Fullmetal Alchemist, distinguendosi per un tratto più grezzo e pesante, ma l’impostazione della tavola è comunque tripartita in tre strisce e il focus dell’attenzione è interamente rivolto alle azioni dei personaggi.
Ancora, si noti come il manga sia nato sulle pagine di giornali e riviste e come ancora oggi rimanga profondamente ancorato a questo tipo di esperienza editoriale, al contrario di quanto accade nel resto del mondo: prima di essere raccolti in Tankōbon, ossia in volumi, i manga vengono serializzati su riviste i cui capitoli escono una volta alla settimana.
Slam Dunk, scritto e disegnato da Takehiko Inoue, venne pubblicato dal 1990 al 1996 sulle pagine di Weekly Shōnen Jump, la stessa rivista che ha ospitato i più famosi manga per ragazzi degli ultimi trent’anni, come Dragon Ball di Akira Toriyama, Yu degli spettri e poi Hunter Hunter di Togashi, Capitan Tsubasa di Yoichi Takahashi, da noi noto come Holly e Benji, e più recentemente Bleach di Tibe Kubo, Naruto di Masashi Kishimoto e One Piece di Eichiro Oda.
Weekly Shōnen Jump non è l’unica rivista attiva in Giappone, ma sono numerose le case editrice che le fanno concorrenza, come la Weekly Shonen Magazine che ha dato alle stampe Devilman di Go Nagai, la Weekly Shonen Sunday che ospita dal 1994 le avventure del Detective Conan o la Weekly Young Magazine dove sono apparsi Akira di Katsuhiro Outomo e Ghost in the Shell di Masamune Shirow.
Queste riviste si differenziano soprattutto per il diverso target demografico al quale si vogliono rivolgere.
Un manga shonen è una narrazione che ha come protagonista, tendenzialmente, un ragazzo che parte per una grande avventura che lo porterà alla crescita e al successo, e questo tipo di narrazione si rivolge a un pubblico maschile in fase adolescenziale: famosissimo in tutto il mondo sono proprio i battle shonen come Dragon Ball, One Piece, Naruto, Le bizzarre avventure di Jojo. I manga shojo sono il corrispondente femminile degli shonen. Un manga seinen ha come target di riferimento un esemplare demografico più adulto: le storie di Osamu Tezuka o le narrazioni intimiste di Jiro Taniguchi raccontano storie dai contenuti adulti, pensate per un lettore adulto.