L’ARCHEOLOGIA: TRA SCIENZA, ARTE ED EMOZIONE
Dal primo colpo di vanga assestato per studio quante sono state le scoperte negli scavi archeologici di tutto il mondo? Eppure ancora oggi spiegare cos’è l’archeologia risulta più difficile di quanto non si pensi. Facciamola facile: per il dizionario Treccani l’archeologia è la “scienza dell’antichità che mira alla ricostruzione delle civiltà antiche attraverso lo studio delle testimonianze materiali (monumentali, epigrafiche, numismatiche, dei manufatti ecc.), anche mediante il concorso di eventuali fonti scritte e iconografiche”. Facile? Non proprio: manca ancora qualcosa, qualcosa di fondamentale. Lo sapeva Mortimer Wheeler, uno dei fondatori dell’archeologia moderna, quando riflettendo se fosse più corretto definire la materia come una forma d’arte o come una scienza puntualizzò che l’archeologo quando scava non porta alla luce oggetti, ma esseri umani.
Personalmente credo sia questa la chiave di tutto. L’uomo che riflette su se stesso, attraverso il passato. Non è affascinante?
L’epoca delle esplorazioni
L’immagine comune dell’archeologo risente molto dell’epoca delle esplorazioni, quella dell’avventuriero carismatico, stile Indiana Jones per intenderci (che in verità il suo ignaro ispiratore, Frederick Mitchell-Hedges, probabilmente avrebbe apprezzato). In effetti sono molti i grandi nomi alle origini di questa disciplina che consolidano l’idea del visionario solitario: penso a Heinrich Schliemann e all’incredibile fede che lo guidò alla scoperta di Troia, a Arthur Evans nella Creta minoica, a Howard Carter nella valle dei Re alla ricerca di Tutankhamon, e potrei andare avanti.
Chi non vorrebbe essere nei panni di Mary Leakey quel fatidico giorno che segnò il primo ritrovamento dei nostri antenati nella gola di Olduvai in Tanzania? O essere stati lì nella viscere della terra con De Sautuola quando alzando gli occhi si ritrovò ad ammirare le pitture rupestri della Grotta di Altamira? C’è un che di magico nell’emozione che si prova a rimettere piede, primi dopo chissà quanti anni, in un grandioso tempio sepolto sotto le sabbie come accadde a John Burkhardt ad Abu Simbel. E pensate a Carter che, abituati gli occhi al buio della tomba di Tutankhamon, alla domanda dei suoi compagni “Vedi qualcosa?” riuscì a rispondere solo “Sì, qualcosa di meraviglioso”.
E al giorno d’oggi?
Oggi l’immagine del visionario solitario sarebbe limitante: l’archeologia è una materia profonda e variegata come l’oggetto del suo lavoro, ed è ancora giovane, in continua evoluzione. Sempre più lavoro d’equipe, sempre più scientifica nei suoi metodi di indagine e di interpretazione. Soprattutto è sempre più un magnifico e armonico punto di congiunzione tra discipline diverse, il fulcro di un obiettivo comune: studiare le civiltà antiche, e l’uomo dietro di esse.
Quello che non si è perso è lo spirito di investigazione che informa il lavoro dell’archeologo. Con l’evoluzione delle tecniche di indagine anche siti e reperti ritenuti già ampiamente conosciuti possono offrire nuove scoperte. Oggi ancor più di ieri è meravigliosamente sconcertante come dal più piccolo dato si riesca ormai a ricostruire un mondo: dalla meticolosa analisi di microscopici residui di polline un intero paleoambiente, ad esempio.
Estrarre e mappare il dna da antichi resti umani ci ha svelato che la diversità è la parola chiave della nostra evoluzione, che la diversità è vita.
Strumenti d’indagine geofisica e telerilevamento permettono di indagare il sottosuolo senza dover ricorrere a scavi distruttivi. Le tecniche di fotogrammetria più avanzate possono riportare in vita monumenti e antichi siti oggi perduti per sempre.
Dove siamo quindi, nel campo della scienza o in quello dell’arte?
Se anche la componente scientifico-tecnologica ha preso sempre più importanza, quella che resta sicuramente immutata nel tempo è l’emozione e quel senso di sacralità che si prova nel ritrovare un fossile o un reperto antico rimasto custodito per migliaia di anni nel terreno e riportato alla luce, nel sentirsi protagonisti di una speciale connessione tra epoche e culture distanti nel tempo.
Nel cammino dell’archeologia il passato non è mai stato così vicino, e continuerà ad avvicinarsi. Il che è un bene. Il passato ha tanto da insegnare; cambiamenti nella società, nel clima, crisi delle risorse: archeologia e storia ci dicono che il nostro passato ha già affrontato tutto questo e che conoscerlo può offrire intuizioni su come affrontare problemi analoghi oggi, insegnarci a essere meno ciechi e sicuri nel nostro antropocentrismo.
Questo e altro può fare l’archeologia, se le si dà l’opportunità di stupirci. Quali meravigliose
sorprese si celano ancora? È bello sapere che il passato è ancora tutto da scoprire.
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