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Giornata della Memoria
E’ difficile, dovendo scrivere qualcosa in occasione della Giornata della Memoria, trovare le parole: di fronte all’enormità che questa giornata evoca, ogni riflessione risulta insufficiente, banale, scontata.
Vorrei allora dare la parola ad una donna che è passata attraverso la tragedia dell’Olocausto custodendo intatte la speranza e la dignità e l’amore per la vita.
Lettera di Etty Hillesum dal campo di Westerbork, dicembre 1942:
Il dolore umano che abbiamo visto nel corso di quest’ultimo mezzo anno, è più di quanto un individuo sia in grado di assorbire in un periodo così limitato. Del resto, lo sentiamo dire ogni giorno e in tutti i toni: “Non vogliamo pensare, non vogliamo sentire, vogliamo dimenticare il più possibile”. E questo mi sembra molto pericoloso.
Certo accadono cose che un tempo la nostra ragione non avrebbe creduto possibili. Ma forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo, e che potrebbero farci capire questa realtà sconcertante. Io credo che per ogni evento l’uomo possieda un organo che gli consente di superarlo.
Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive.
E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale.
Certo non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra misera e disperazione, allora non basterà.
Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenze dovranno portare chiarezza oltre i recinti di filo spinato, e congiungersi con quelle che là fuori ci si deve conquistare con altrettanta pena, e in circostanze che diventano quasi altrettanto difficili. E forse allora, sulla base di una comune e onesta ricerca di chiarezza su questi oscuri avvenimenti, la vita sbandata potrà di nuovo fare un cauto passo avanti.
Che cosa dicono le parole di questa giovane donna a me, che faccio parte di quelli che “vivono sicuri nelle loro tiepide case, che trovano tornando a sera il cibo caldo e visi amici” (Primo Levi, Se questo è un uomo)?
Forse che di fronte a tutti “i duri fatti” che tanti, uomini, donne e bambini, ancora oggi devono “irrevocabilmente affrontare” è pericoloso e ingiusto non voler pensare, non voler sentire, voler dimenticare: come ci ricorda sempre Liliana Segre, quello che è successo allora è stato possibile soprattutto grazie all’indifferenza dei più.
Forse che la vita di tutti potrà fare “un cauto passo avanti” se tutti noi ci impegniamo ad “ospitare nelle nostre teste e nei nostri cuori” le vite e le storie di chi ancora oggi sperimenta la miseria e la disperazione della guerra, della migrazione forzata, dei campi di prigionia, della fame…
Forse che tutti dobbiamo impegnarci ad una “comune e onesta ricerca di chiarezza” su quali sono le radici profonde di tanta disumanità, con il coraggio di guardare fino in fondo a quanto le nostre tiepide case e il nostro cibo caldo sono pagate al prezzo di tante ingiustizie.
Forse che nella vita quello che conta di più è il “come” si vive, e di questo solo io sono responsabile.
Giulia Oriani
Responsabile Libreria